L’Aikido praticato bene pone tante domande, ne abbiamo proposte alcune a Christian Tissier 7° dan.
Per giungere ad un‘applicazione perfettamente efficace in Aikido, bisogna prima agire e poi pensare scordandosi della tecnica o piuttosto il contrario?
C.T. Per come la vedo, l’unica applicazione efficace dell’Aikido è la preservazione della propria ed altrui integrità e il successo nelle scelte che ci si è prefissati, lo sviluppo delle proprie qualità umane, fisiche e spirituali.
Però la seconda parte della domanda richiede una risposta più “terraterra”.
In Aikido non si può dire che ci siano veramente delle regole, ma piuttosto dei livelli d’applicazione.
Mettendo in pratica con determinazione e violenza, certe tecniche (non tutte) sono temibili, anche se il praticante non ha ancora acquisito una grande esperienza.
Ma a questo punto si parla d’Aikido?
Difesa personale sotto forma d’Aikido sarebbe probabilmente un termine più adatto .
Riguardo al pensare prima e poi agire?
Può andar bene se si intende la strategia precedente all’azione. Può anche andar bene se c’è il tempo di considerare le diverse possibilità dominando le proprie emozioni.
Ma quando esiste la padronanza, l’unica modalità davvero efficace è la spontaneità.
Tutta la pratica della nostra arte marziale tende a sviluppare quest’istante, questa scelta non ragionata nella quale solo quanto avrete acquisito in profondità vi condurrà come la migliore delle guide.
In quei precisi momenti, la visione dell’azione è allora molto chiara, come rallentata, la vera potenza si esprime sciolta e leggera, eppure terribilmente pesante al momento cruciale.
A priori, tutte le tecniche d‘Aikido si possono applicare a qualsiasi forma d‘attacco?
C.T. A priori sì.
Anche se gli attacchi sono molto convenzionali, questo è un bene, perché resta la forma al di là della varietà dell’attacco.
I colpi dovrebbero rappresentare tutte le direzioni: dall’alto verso il basso (shomenuchi), di lato o di rovescio (yokomenuchi), di fronte (tsuki), etc.
Si può dunque considerare che, dal punto di vista della direzione, non ci siano differenze sostanziali tra un yokomen ben dato ed un gancio classico.
Il problema è piuttosto quello che si vede nella pratica: gli aikidoka non fanno abbastanza attenzione alla qualità dei loro attacchi che sono spesso troppo molli e poco precisi.
Troppo aperti quando le braccia si alzano o al contrario rigidi e poco veloci, non concentrati sul centro e privi della nozione d’impatto e di distanza.
Questo aspetto va migliorando, ma un grosso lavoro resta da fare.
Per quanto riguarda gli attacchi di piedi, il numero di tecniche applicabili direttamente sul primo attacco, è abbastanza limitato .
Ma schivare il primo attacco di piedi modificando la distanza e le reazioni dell’avversario può portare a una presa, un colpo di mani o una proiezione che renda dunque possibile tutta una serie di applicazioni.
L‘efficacia e la progressione qualitativa delle tecniche sono legate ad una ricerca estetica? Di fatto esiste un‘opposizione tra un Aikido artistico e un Aikido efficace?
C.T. No, non lo credo, in ogni caso non sono legate ad una ricerca solo estetica. Di certo non si deve praticare un Aikido “manierato”.
Il fatto è che l’Aikido, come qualsiasi arte che utilizza il corpo come supporto, tende all’esecuzione di un gesto puro, sbarazzato d’ogni paura, stizza, irritazione e bloccaggi, sia fisici che psichici. Secondo me non c’è un Aikido efficace ed uno artistico. L’Aikido, se praticato bene, è efficace e per forza bello. Se è efficace senza essere bello, è di certo praticato con la forza ed è dunque limitato nella sua capacità e potenzialità, ancorché nella sua possibilità di progredire. Esprime solo quello che l’aikidoka in questione ha già più o meno acquisito e utilizza per rassicurarsi, niente più.
L’Aikido estetico, ma senza efficacia, sarebbe come mimare.
Somiglierebbe all’arte, ma la forma sarebbe vuota.
Una pratica privata del suo contenuto reale, non potrà portare in se alcuna autenticità e realtà.
E’ vero che con la connivenza di un buon partner può apparentemente funzionare, ma quell’ Aikido non resisterebbe certo in un conflitto, perché il timore ne farebbe apparire tutti i limiti.
Squilibrare l‘avversario è fondamentale in aikido, che ne è dell’atemi ad esempio?
C.T. O Sensei Morihei Ueshiba diceva che l’Aikido da lui fondato consistesse in irimi ed atemi.
Il senso dell’atemi è quindi essenziale per diverse ragioni.
L’atemi permette di materializzare una distanza, di fissare il partner in qualche modo, di fermarlo o di posizionarsi in confronto a lui.
Al di là del colpo, è anche un punto d’appoggio non trascurabile.
L’atemi può anche aiutare a neutralizzare la violenza dell’avversario.
O anche, ancora meglio, dosandolo a seconda dell’azione che si è deciso di realizzare, per immobilizzare con fermezza e senza danni l’avversario.
L’atemi può mostrare delle chiusure nell’azione e per questo non c’è bisogno che ci sia impatto. E’ più importante che l’atemi chiuda e apra degli angoli al momento giusto ed anche alla distanza giusta.
Ma attenzione, non si tratta soltanto di un semplice gesto, deve essere credibile e quindi preciso, intenso e potente.
L’atemi deve sempre essere utilizzato consapevolmente, mai come reazione di paura, d’impotenza o con aggressività. Perché in questi casi, non è più un aikidoka che si esprime, ma una persona qualsiasi.
Di fatto praticato con efficacia, l’atemi deve rappresentare una sanzione potenziale e radicale, lasciando all’aikidoka la scelta della clemenza, ma senza debolezza durante l’azione.
La scioltezza e la forza entrano in contrasto con una pratica esemplare dell‘aikido o al contrario in quali casi sono complementari?
C.T. Penso che sia essenziale distinguere tra una persona, naturalmente forte, ma che utilizza la sua potenza senza lavorare con la forza, ed una che fonda la sua pratica “solo” sulla propria forza.
Oltre al fatto che sarebbe inaccettabile per la propria progressione tecnica, la quale sarebbe impedita da questo “tradursi in applicazione della forza”, l’uso di questa forza sarà ovviamente limitato dall’età e col tempo invece di progredire, il praticante si irrigidirà e si contrarrà sempre più, le conseguenze sarebbero evidentemente negative.
Bisogna ricordare che tutto il lavoro sulla precisione della tecnica tende ad ottenere il massimo d’efficacia con il minimo sforzo.
Per quanto riguarda la scioltezza è lo stesso, si deve distinguere fra la scioltezza articolare e quella nell’azione.
Se la tecnica non è precisa, la postura aleatoria e se ci dovesse essere un aggressione inaspettata o della paura, il più sciolto dei praticanti si bloccherebbe subito e proverebbe a compensare con quello che è accessibile immediatamente e cioè un sentimento di rigetto, di rifiuto, un aumento di forza nelle spalle.
Non si può avere un movimento naturale senza scioltezza.
Ma naturale significa che ci sia pratica, dunque economia, quindi precisione. E’ solo in un movimento tecnico, sciolto e senza blocchi fisici e mentali (quindi senza paura) che tutta la forza si esprime per liberare una grande potenza.
Il lavoro sul Ki basta ad aprire la porta dell‘Aikido o è necessario un allenamento più fisico?
C.T. Certo il problema del Ki, se si può definire così con esattezza, è il suo scorrere, la sua libera circolazione e il suo scambio esterno – interno in armonia con tutti gli elementi che ci circondano.
E’ possibile allenarsi da solo o con un partner particolarmente compiacente: imparare a piazzare le proprie spalle, la schiena, il bacino, la respirazione, cercare il proprio centro, etc. Ma quando c’è un aggressione fittizia o reale, quando c’è una relazione con l’altro, senza un precedente ed intenso allenamento, senza una vera esperienza, senza calma, come mantenere il piazzamento, le spalle basse, la posizione dell’hara etc.? L’Aikido elaborato da O Sensei e scelto da noi come base di pratica, consapevolmente è un budo, l’attaccante è il pretesto con il quale bisogna trovare una soluzione armoniosa del conflitto, dei Ki, anche se quest’ultimo non lo volesse.
Aikido è un budo, si può considerare solo come un arte di difesa?
C.T. Un budo è un sistema d’educazione marziale, fisico, mentale, umano, che deve sviluppare fino al massimo grado le qualità inerenti all’essere umano sviluppando le costanti dello studio della “via” che bisogna ricordare: la ricerca del gesto puro che porta alla purezza dello spirito, il rispetto, l’attitudine giusta al momento giusto, la spontaneità etc. Ridurre il budo ad una sola arte di difesa, è scordarsi la sua dimensione d’apertura sul mondo e sbagliare epoca e armi. Quando tutte le qualità del budoka sono acquisite, arte di difesa inclusa, egli può andare dritto nel mondo per comunicare, vivere ed amare senza timore per lui e per gli altri.
Chi pratica soltanto un arte di difesa non fa altro che forgiarsi un carapace, che vorrebbe sempre più solido, ma nel quale rischia di isolarsi e di non riuscire più ad uscirne.
Traduzione a cura di Marco Marini